Parlare di imposizione fiscale è sempre un affare spinoso per qualunque amministrazione che sia essa nazionale o locale. I motivi per i quali la discussione sulle imposte è così complessa sono sotto gli occhi di qualunque buon osservatore. Oltre all’evidente problema relativo alle tasche dei contribuenti, c’è anche la difficile situazione finanziaria degli enti pubblici e le differenti leve che questi ultimi possono adoperare (poche).

Anche se molte questioni si danno per assodate o scontate, vale la pena ripeterne alcune per mettere bene a fuoco la situazione.

Per prima cosa bisogna sostenere che nessun ente pubblico applichi una maggiorazione all’imposizione fiscale per un qualche gusto sadico nel flagellare i contribuenti (se escludiamo il ben noto sceriffo di Nottingham) per una sequela di validi motivi tra cui, per citarne solo alcuni, il consenso, il possibile fiaccamento delle attività produttive e l’impoverimento del tessuto sociale.

Per seconda cosa è necessario che si comprenda che qualsiasi realtà, pubblica o privata che sia, deve obbligatoriamente tenere nello stato di massima salubrità i propri bilanci con l’obiettivo di mantenere uno standard alto dei servizi.

Per terzo è fondamentale non lasciarsi irretire da due tentazioni: la prima affrontare il tema dell’imposizione fiscale da un punto di vista esclusivamente teorico e la seconda (valida sia per la maggioranza che per l’opposizione) di non attribuire eccessiva importanza al consenso elettorale.

Dando per comprensibili e condivisibili dai più i primi due punti, vado velocemente a spiegare le ragioni del perché queste due tentazioni contenute nel terzo punto della nostra argomentazione possano essere letali.

I modelli teorici astratti hanno senza dubbio la grande capacità di dare una rappresentazione di un sistema in maniera molto accattivante, però senza alcun dubbio portano spesso a non leggere la realtà per come è, bensì per come vorremmo che fosse.

Ovvero, se dessimo per scontato che in un sistema teorico perfetto l’abbassamento dell’imposizione fiscale sui redditi, ad esempio, porti automaticamente ad una diminuzione dell’evasione e quindi ad un incremento del gettito fiscale sul lungo termine commetteremmo un grossolano errore.

Magari non per il gettito in sé, ma per una visione a più ampio spettro delle cose.

Ad esempio, una diminuzione delle imposte potrebbe portare ad una minore entrata erariale nel breve periodo che potrebbe portare ad una diminuzione di alcuni servizi di welfare (sanità, assistenza agli anziani) che sul lungo periodo potrebbero andare ad aumentare il costo a carico delle famiglie, portando così ad un annullamento dei benefici dovuti alla diminuzione della pressione fiscale per le famiglie e ad un consecutivo abbassamento delle entrate erariali, riportando così l’amministrazione al punto di partenza.

Oppure sempre per fare esempi puramente teorici, un’amministrazione potrebbe aumentare in modo sconsiderato le imposte su un segmento produttivo andando così a danneggiare una filiera economica intera, così facendo (nonostante l’aumento dei tributi) si ritroverebbe con meno risorse rispetto all’inizio.

Come si può notare prendendo i giusti dati e la giusta lente mono focale si può portare un sistema teorico pressoché a qualunque conclusione. Pertanto, prima di postulare assiomi incontrovertibili – cito testualmente – Ci troviamo davanti all’ennesima conferma che il Comune ha un estremo bisogno di entrate per far quadrare i conti, e le va a cercare imponendo maggiori tasse.1 – bisognerebbe calare le proprie riflessioni meramente teoriche in casi pragmatici e specifici.

La seconda tentazione è quella legata al “consenso”. Da che mondo è mondo le tasse sono impopolari.

Perciò vi può essere la tentazione da parte di un’amministrazione o di una opposizione di andare a modificare o criticare un certo tipo di imposizione fiscale solo ai fini del proprio consenso a breve termine ignorando le motivazioni economico finanziarie profonde che hanno spinto quella decisione e spesso senza offrire valide soluzioni alternative.

A meno che puerilmente non si pensi che l’alto tenore dei servizi erogati in Emilia-Romagna (Molinella inclusa) provenga per grazia dalle cerchie angeliche, non si può non concordare che il tutto venga più prosaicamente da una buona gestione delle finanze pubbliche.

Avere la botte piena e la moglie ubriaca è il sogno di molti, ma avere una tassazione bassa, una gestione della pandemia efficientissima, un’erogazione di contributi alle attività produttive, un sostegno alle famiglie bisognose, una non diminuzione del PIL a fronte di poco o nessun aumento della pressione fiscale rientra nel mondo delle favole più che nel mondo reale.

Fatto questa lunga, ma necessaria premessa andiamo ad analizzare la questione principale.

L’aumento dell’imposizione fiscale (IMU agricola) relativa agli agricoltori molinellesi rientra nelle politiche fiscali necessarie al mantenimento in equilibrio del bilancio comunale. Tale decisione è stata presa nell’autunno del 2019, quando di pandemia non c’era il sentore nemmeno a Wuhan.

Il Comune di Molinella, come molte altre realtà della provincia di Bologna, è stato messo duramente alla prova dalla scarsità di contributi provenienti dallo Stato centrale. Negli ultimi dieci anni il Comune ha dovuto far fronte ad una radicale riorganizzazione del proprio bilancio a fronte anche dei molti crediti difficilmente esigibili che pesano sui conti, andando a cercare nuove risorse in un efficientamento della spesa, in una razionalizzazione dei servizi e, come spesso purtroppo accade, anche in un aumento di fasce specifiche dell’imposizione fiscale, o dell’abbassamento di altre (TARI).

Nel caso specifico, la manovra riguardante l’IMU agricola porterà dentro le casse comunali circa 35 mila euro, suddivisi in approssimativamente 350 attori in modo proporzionale. Ad esempio, un piccolo fondo agricolo pagherà tra i 30 e i 60 euro (a meno che non rientri nella casistica “esente”).

Quindi se le opposizioni avessero realmente interiorizzato e compreso le difficoltà delle casse pubbliche, le difficoltà delle famiglie, dei nostri ragazzi e dei nostri commercianti non si limiterebbero a pubblicare proclami ottocenteschi per tentare un maldestro sciacallaggio, ma si adopererebbero per aiutare l’amministrazione a trovare soluzioni più efficienti, condivise e perché no migliori.

La maggioranza è sempre pronta a confrontarsi attorno ad un tavolo per vagliare tutte le proposte esistenti, a patto che l’atteggiamento di collaborazione sia razionale, onesto e pragmatico perché di Benaltrismo ne abbiamo avuto abbastanza.

Arianna Borsetti
Membro della segreteria PD Molinella e consigliere comunale di “Dalla Parte di Molinella”

 

1“Il domani di Molinella” – pag. 2-6 Dicembre 2020