di Roberto Paltrinieri

 

Si sente, e si legge, spesso e da più parti parlare di cambiamento in relazione al dopo coronavirus. Io stesso, profondamente convinto di ciò, ne ho scritto qui non più tardi di qualche giorno fa.

Ma se mi sento di ribadire che nulla sarà più come prima, cosa davvero cambierà (se non è già cambiato)?

In primis cambierà la percezione dei nostri limiti, che non sono e non saranno più vissuti come prima. Una polmonite è una malattia grave, ma al pensarvi, ciò su cui i nostri pensieri si focalizzavano sino a ieri, erano le cure, i medici, i farmaci, l’ospedale. E la guarigione.

Invece no, questo percorso ha perso la sua linearità. Non è più automatico, non poggia più su quelle che per noi erano ritenute certezze. Perché abbiamo toccato con mano che ci si cura SE ci sono medici per farlo, si assumono farmaci SE reperibili, si va all’ospedale SE c’è posto.

L’abbiamo visto e lo stiamo vedendo quotidianamente, qualcuno lo sta vivendo sulla sua pelle, brutalmente. Drammaticamente.

E questi nuovi orizzonti non spariranno una volta passati i giorni del coronavirus.

E quando il recinto della nostra area di pertinenza muta radicalmente le distanze, anche ciò che ricade al suo interno muta. Mutano le sue dimensioni, muta la sua collocazione.

E ci obbliga – sì ci obbliga – a relazionarci con il concetto di “nostro” in modo per molti nuovo. Ma più giusto.

Credo infatti che in non poche persone l’idea stessa di nostro sia assente: ha grande importanza ciò che è esclusivamente mio, non ne ha per nulla ciò che è anche, ma non solo, mio. Il nostro appunto.

Ciò che è solo mio lo vedo, lo riconosco, capisco il beneficio che mi porta. Lo vivo.

Ciò che è invece nostro no, fatico a riconoscerlo ed al contempo fatico a riconoscermi in esso. Ma mi è chiaro il peso del contributo che sono chiamato a dare ad esso.

Ciò che è solo mio è importante, ciò che è anche mio non lo è. Perché è “vostro”, ed io che c’entro?

E invece in questi giorni ciò che è nostro ha assunto sembianze tangibili, perfettamente riconoscibili.

Perché è nostro lo stato di salute di tutti coloro che fanno parte della mia comunità.

Perché è nostro il buon funzionamento di un ospedale.

Perché è nostra la reperibilità di un medico.

Perché sono nostre le capacità e le competenze di chi la nostra comunità la guida e la amministra.

Perché è nostra la rete di solidarietà cui tutti ci attacchiamo nei momenti di difficoltà.

Perché sono nostre le tante comunità di cui facciamo parte, e perché farne parte consapevolmente ci rende tutti un po’ più forti.

Cosa può esserci che valga di più?