di Sara Vestrucci


Giorni strani questi.

Ci ritroviamo a fare i conti con qualcosa di inaspettato, di imprevisto, ma che è nostra responsabilità affrontare nella maniera più consona.

Ci ritroviamo, coscienziosamente e doverosamente, a fare quel che da tempo sognavamo o detestavamo: stare a casa o in casa.

In questa distinzione di preposizioni si cela anche il modo in cui ci stiamo predisponendo ad affrontare questo particolare periodo..

Stare A casa, suggerisce al nostro cervello una situazione di ritrovo familiare, di piacere del focolare domestico, e di molto più tempo da dedicare alla propria famiglia, alla propria coppia, alla propria casa, ma anche a noi stessi.

Stare IN casa, ci fa intendere qualcosa di non così gradevole, opprimente, che magari ci separa anche dai nostri affetti, qualcosa che assolutamente non avremmo desiderato.

Ecco, buona parte di come decideremo di vivere questo “riposo forzato” (per chi ha la “fortuna” di poterlo avere..) starà nel modo in cui lo interpreteremo.

Stare A casa o stare IN casa, quindi?

Esattamente come la differenza tra la parola Home e la parola House in inglese (House: casa; intesa come edificio, abitazione) (Home: casa; intesa come luogo di ritrovo della famiglia / focolare domestico).

Questa esperienza avrà però, anche un merito: quello di riportarci alle basi, ricondurci alle questioni veramente importanti della vita… come avercela ancora una vita da vivere (cosa che tutti, o quasi, troppo spesso sottovalutiamo); come avere una famiglia accanto (a prescindere da come possa essere composta); a quanto siamo fortunati a vivere in un Paese così vicino ai propri cittadini, che si occupa e preoccupa per la loro salute.

Che non li tratta come un gregge.