“È tutto un magna-magna”. “Sono tutti uguali, a destra e a sinistra. Non cambia niente. Vogliono solo arrivare a sedersi sulla poltrona”. “Quando arrivi lì, e vedi tutti quei soldi sotto il naso, anche se sei il più bravo di tutti, finisci per farti corrompere”. “I partiti non servono a niente, servono solo a rubarci i soldi”.
Quando un’idea si fa enormemente condivisa, molto spesso c’è un fondo di verità.
Questo non sempre è vero, va detto. Basti pensare alle folli ideologie a fondamento dei regimi totalitari che hanno devastato l’Europa nel secolo scorso per sostenere la legittimità di indagare sulla fondatezza delle convinzioni diffuse.
Ma nelle affermazioni che aprono questo articolo, che riflettono un drammatico allontanamento della politica dai cittadini, un fondo di verità c’è senz’altro, tanto da renderle legittime e giustificabili.
A non essere legittima, però, e tanto meno giustificabile, è l’altrettanto diffusa attitudine a fermarsi a tali affermazioni. La politica degli slogan, degli strilli, degli insulti, del tutti a casa, è semplicistica e pericolosa. Se tutti vanno a casa, chi ci governerà? Se si svuota la politica dei suoi meccanismi e scopi più necessari e funzionali, che futuro si darà al nostro paese?
In un contesto di diffusa antipolitica, di siderale distanza tra cittadino e istituzioni, di ridotte speranze e di crescente sfiducia, cosa può spingere un cittadino, a maggior ragione se venticinquenne come chi scrive, all’attivismo politico? Ambizione? Arrivismo? Egocentrismo? Utopia?
Sempre più spesso si sente dire da più parti che l’idea di rinnovamento, di cambiamento, di “rottamazione”, per quanto nobile, sia irrealizzabile. In un mondo, quello della politica, sempre più caratterizzato da privilegi, sprechi, interessi, poteri consolidati, individualismo e corruzione l’idea che sia possibile cambiare da dentro il sistema portando persone e idee nuove è considerata un’utopia. È soltanto di pochi giorni fa – per riportare solo uno dei dati di malessere del nostro paese – l’agghiacciante risultato dell’indagine condotta dalla Commissione europea sulla corruzione negli Stati membri dell’Unione Europea, che rivela che il tasso di corruzione totale registrato nei 28 paesi dell’UE è per metà italiano.
Ma, dunque, che cos’è un’utopia? Tralasciando le definizioni da vocabolario, è essenzialmente un’idea basata su un’errata osservazione della realtà e della natura umana.
E allora tutto deve partire necessariamente dall’analisi della nostra realtà, sia a livello nazionale che a livello locale. A livello nazionale la situazione è drammaticamente chiara a tutti. Le ultime elezioni hanno delineato un quadro limpido della situazione politica italiana: un PD che si è arroccato sull’antiberlusconismo dando scarso contenuto alle proprie proposte e affidandosi al buon vecchio senso della superiorità intellettuale che l’avrebbe finalmente premiato di fronte alle evidenti cadute degli avversari. Un PDL che ha fatto nuovamente leva sulle incredibili capacità del proprio leader in campagna elettorale e su promesse di una falsità talmente lampante che ha stupito soprattutto l’incapacità degli altri partiti di utilizzare queste menzogne – la questione dell’IMU su tutte – come arma contro Berlusconi. Un Mario Monti che ha pagato – oltre alla propria scarsa presa mediatica – la drammatica disinformazione che affligge questo paese sul tema delle cessioni di sovranità in atto in questi anni in favore delle istituzioni europee, in un contesto di misure comunitarie per far fronte alla crisi dell’eurozona che stanno togliendo sempre più potere alle autorità nazionali in materia di politiche economiche e fiscali.
Ma quello che è emerso con maggior forza è lo strepitoso incedere dell’antipolitica, che attraverso gli slogan e le semplicistiche proposte di Beppe Grillo ha dato voce a quegli italiani – sempre più numerosi – stanchi e irritati da partiti che non sembrano più essere in grado di ascoltare le richieste dei cittadini e di incanalarle in proposte politiche precise ed attuabili.
A livello locale, invece, un’osservazione della realtà porta ad alcune considerazioni sul nostro paese il cui approfondimento, per motivi di spazio e coerenza con il tema di questo articolo, lascerò ad altri, ma che conducono quasi tutte alla medesima conclusione: Molinella è un comune sempre più isolato e spento. La vicenda della chiusura dell’istituto delle Fioravanti è solo l’esempio più emblematico di quanto appena detto.
Ma cosa fare, una volta osservata la realtà? Va detto innanzitutto che una corretta osservazione di quello che ci circonda, che si spinga oltre gli slogan, gli insulti sommari e quelle soluzioni semplicistiche che sembrano prendere sempre più piede – la democrazia attraverso internet su tutte -, è già un nobilissimo atto di responsabilità. Ma un ulteriore passo è l’impegno personale a dare un contributo, qualunque esso sia, affinché, quando se ne presenta l’occasione, le cose possano davvero migliorare.
È con questo spirito che diversi ragazzi, anagraficamente e politicamente giovani, hanno deciso di dare il proprio contributo alla politica locale, una volta che all’interno del PD si è intrapresa – sulla scia dell’onda nazionale renziana – la via del cambiamento, che ha portato alla composizione di una segreteria profondamente rinnovata nelle persone e nelle idee.
Senza la presunzione utopica di pensare che basta essere giovani e “incensurati” per rivoluzionare una realtà politica che se continua a rifiutare il cambiamento avrà vita breve, ma con la voglia di assumersi la responsabilità di muovere un passo oltre alla critica e di contribuire a portare idee e rinnovamento, nell’assoluto rispetto di quelle persone di esperienza e capacità che sono imprescindibili in un partito.
La fase storica che stiamo attraversando è dura, cupa, e sembra lasciare poco spazio alla speranza. Chi scrive è un venticinquenne in procinto di laurearsi, con la prospettiva di attraversare numerose difficoltà per trovare un’occupazione. Ma ogni crisi porta con sé delle possibilità, poiché mette in luce le lacune e i difetti di un sistema. Sta ad ognuno di noi, nella misura che ritiene necessaria, dare il proprio contributo affinché le cose possano migliorare.
Informarsi o impegnarsi in prima persona sono i mezzi per raggiungere questo fine. Lamentarsi e limitarsi a insulti e slogan sono azioni che lasciano, socialmente, il tempo che trovano.