Ovvero trent’anni di dialoghi tra centrosinistra e socialdemocrazia locale: lettera aperta al segretario dei socialdemocratici Massimo Mota e piccola storia del perché abbiamo fallito, tutti. Ma qualcuno ci ha creduto un poco più degli altri.
Caro Massimo,
A Molinella non si parla di Massarenti: si fa finta di parlare di Massarenti. Anzi: alcuni, a Molinella, di Massarenti non ne possono parlare proprio. Ormai la figura del venerato maestro (titolo raggiungibile dai pochi, quando spesso ci si ferma alle due categorie precedenti: ci si conceda l’omaggio all’appena scomparso Arbasino) è sempre utilizzata per qualcos’altro. E anche in quelle rare occasioni in cui si vorrebbe parlare solo del maestro, con tutta evidenza non si può.
Pensiamoci bene, siamo dentro a “Il nome della Rosa”: dove c’era una lunghissima dissertazione tra francescani e legati papali per stabilire se Cristo fosse o meno proprietario dei vestiti che indossava. Ma non si parlava ovviamente, della povertà di Cristo: si discuteva in realtà del fatto se la Chiesa dovesse o meno essere povera. Dove per povera si intendeva se la Chiesa dovesse essere nella possibilità o meno di esercitare il potere temporale.
Io non sono Guglielmo da Baskerville, per quel ruolo è molto più adatto il mio amico Valentino Calori, ma sono ormai quasi tre decenni che mi sciroppo la variante nostrana sulla povertà di Cristo, cioè la collocazione politica degli ideali Massarentiani. Cosa che chiaramente non vuol dire nulla, dato che Massarenti è morto settanta anni fa e anche trenta anni fa, quando era morto da 40 anni, era già passato un sacco di tempo.
Perché ovviamente nessuno può pensare che ciò che avveniva 100 anni fa sia perfettamente inquadrabile nel contesto attuale: quindi non si parla mai veramente della collocazione degli ideali massarentiani. Si parla piuttosto del fatto che questi ideali ad oggi debbano essere o meno a disposizione di tutti (come spesso avviene, nel tempo, con i padri della patria). E quando si discute della disponibilità di quel patrimonio, si intende se siano percorribili le condizioni per un dialogo tra centrosinistra e socialdemocrazia locale.
È un gioco per iniziati.
E noi lo abbiamo giocato a lungo: una vita passata nelle varie formazioni del centrosinistra del mio contado (sì, Massimo, contado, borgo, anche paesello: nel senso affettivo del termine che ci offriva Guareschi) a dire, prendendo legnate, che i riformisti non “eran buoni solo dopo morti” davanti a occhi e orecchie increduli di compagni trinariciuti (sì, Massimo, trinariciuti: puoi spiegare alle tue giovani leve, che Guareschi non l’hanno letto, cosa vuol dire).
E d’altronde come avrei potuto io, nipote di Adriano Mantovani (che nello zuccherificio di Molinella, Massimo, qualche voto a Martoni lo faceva prendere: più di quelli che portano nelle preferenze molti dei vostri candidati alle ultime elezioni, anche quando si dovrebbero avere alle spalle 400 artigiani, nel caso di alcuni) avercela con la storia dei riformisti molinellesi, a cui parte della mia famiglia ha sempre guardato?
Eravamo pochi: io, Valentino Calori, Massimo Garelli magnifico transfuga (con Martoni che disse “per me era come un figlio” con il senso del dramma). Poi mio padre più avanti, il compianto Beltrami (la cui morte mi ha strappato il cuore: una delle tre volte che ho pianto in 20 anni) e pochi, pochissimi altri. Ci guardavate con simpatia perché non contavamo un cazzo e perché portavamo una discussione destabilizzante all’interno delle fila del centrosinistra.
Poi…
Poi è successo piano piano l’improbabile: innanzitutto è nato il PD. Un parto travagliato e storto, ma che ha dato vita a un accrocco in cui si è cominciato a parlare di più di riformismo. Nessuna ipocrisia: partito ancora dato alle fascinazioni di un cattocomunismo veramente fuori tempo massimo. Ma va da se che quell’accrocco nel 2013 è stato preso in gestione a Molinella, vuoi i casi della vita, proprio da quel manipolo di terzisti che l’accordo con i socialdemocratici lo volevano fare, anche per mettersi alle spalle la storia recente che ai tempi, diciamolo, non era esaltante.
Avevamo qualche giovane dalle gambe buone e dalla testa meglio (sì, di quelli che hanno letto Guareschi, ma anche Roth ed Ellis). Vi abbiamo cercato, ci siamo incontrati 5/6 volte: il nome del candidato l’avevamo. Tu o Catozzi. Il Perimetro politico? Noi e voi. Ci è stato detto che era poco. E abbiamo detto sì alla presenza di qualche candidato che vi coprisse un poco di più sul fronte della conservazione. Ci avete detto che non bastava: serviva la presenza dei civici. E abbiamo detto sì alla presenza dei civici. Quando avete provato a tirare dentro Forza Italia e a riconfermare alcuni assessori della giunta Selva abbiamo detto di no noi, buona grazia. Perché riformisti sì, ma non scemi.
Se hai ricordi diversi non so che dirti: a me e Calcinai tre mesi per essere presi per il naso parvero abbastanza. Nessun dubbio sul fatto che tu avresti voluto una soluzione diversa: il responsabile politico fu Giorgio Giorgi e altri soliti noti.
La storia degli ultimi anni la conosciamo, inutile che la ripercorra io anche perché mi toccherebbe parlare delle due ultime elezioni amministrative e farlo da una posizione di maggior forza sarebbe un’inutile ostentazione di vanagloria.
Certo Massimo che abbiamo delle aspettative sul tuo nuovo mandato da segretario della socialdemocrazia locale: forza che rappresenta con maggior coerenza e titolo storico il riformismo italiano anche a livello locale. Sai che novità: lo dissi anche quando divenni segretario del PD molinellese 7 anni fa. Se quello è il nodo del contendere stiamo tutti perdendo tempo: lo diciamo da anni.
Così come rivendichiamo da anni il fatto di poter celebrare Massarenti come amministrazione comunale senza profanare nulla. Così come rivendichiamo di poter intitolare un cinema a Massarenti nella piazza dedicata a Massarenti, scelta urbanistica anche un po’ banale: cosa vi aspettavate, la richiesta del permesso da parte di un ente pubblico per celebrare il personaggio più rappresentativo di Molinella? Queste sono piccinerie.
Così, stando sul piano delle politiche, potrei dire che abbiamo ripreso in gestione interamente il nostro nucleo della casa di riposo. Chi l’aveva dato all’esterno? Potremmo dire di aver ripreso in capo la gestione degli impianti sportivi. Chi li aveva sempre dati all’esterno? Che abbiamo tenuto all’interno praticamente tutti gli asset strategici del comune, nonostante il più grande blocco alle assunzioni di personale della storia repubblicana, che mi sono beccato in tutto il primo mandato. Quindi sul tema privatizzazioni e affini: voi male male, noi benino. Occhio a tirare fuori Massarenti sul tema.
Quindi Massimo, proprio perché io e altri a me vicino, abbiamo delle aspettative sul tuo mandato, cominciamo con il dire: partiamo con il riconoscimento reciproco. Noi sugli errori del PCI e della DC prima, e del PD poi, non siamo mai stati morbidi. Non abbiamo ancora letto, ma sicuramente ci è sfuggita, un’analisi da parte vostra sugli ultimi risultati elettorali dove i numeri dicono quel che dicono.
Valentino ha spronato sia il PD che la socialdemocrazia a riannodare dei fili: l’ha fatto con la gigantesca autorevolezza e onestà intellettuale che tutti gli riconoscono da quando tracciava questi scenari in tempi in cui era meno conveniente dirlo. Nessuno vuole intestarsi la figura storica di Massarenti ma non puoi negare che nel panorama politico attuale si può essere iscritti al PD e idealmente socialdemocratici allo stesso tempo. Certo che il Pd è il crocevia di tante anime, lo sappiamo: delle sciagure nazionali siamo tutti testimoni. Nessuno vuole iscrivere Massarenti al Pd: a Molinella però è stato possibile iscrivere il PD a Massarenti, mettendo in fila una seria e rigorosa autocritica sul passato.
Cosa che dagli elettori, che non sono stupidi né si fanno turlupinare, ci è stata riconosciuta.
Nella canzone di De Andrè, Piero decide di non sparare perché vede in fondo alla valle “un uomo del suo stesso identico umore, con la divisa di un altro colore”. Però Piero alla fine si fa ammazzare. Se vogliamo cambiare la storia, mentre nel 2014 Valentino aveva proposto e attuato un disarmo unilaterale, ad oggi serve quanto più che mai un disarmo bilaterale.
Perché caro Massimo, io e Valentino nei nostri lunghi post abbiamo chiesto nulla più che si ricominci a parlare, peraltro entrambi da posizioni sempre più vicine alla seconda delle tre categorie arbasiniane (io non sono più una brillante promessa e Valentino è troppo giovane per essere un venerato maestro: non diciamo cosa manca, per carità di patria). Tu sei il segretario di una forza che ha un grande storia alle spalle e un modesto consenso presente (per ora): si può buttare la palla in tribuna, per motivazioni che comprendiamo anche.
Ma noi quel pallone lo rimetteremo sempre in campo. Ed è su quel campo che ti aspettiamo.
– Dario Mantovani