di Roberto Paltrinieri
Il mondo della scuola si avvia alla conclusione dell’anno scolastico 2019/2020 in maniera del tutto anomala, vivendone un epilogo che non ha precedenti.
Certamente davanti al tema della salvaguardia della salute pubblica in generale, e dei nostri ragazzi in particolare, l’aver completamente rivoluzionato l’andamento dell’anno rappresenta una scelta che, per quanto possa essere risultata pesante e complicata, si è al contempo palesata come inevitabile.
Non ci sentiamo però di esimerci da un’analisi ed una riflessione in merito a ciò che, tale situazione, ha rappresentato per gli studenti, per le famiglie e per la scuola stessa.
La promozione riconosciuta a tutti e l’annullamento delle prove di esame (almeno in quello che avrebbe dovuto essere il loro format originario) sono ovviamente i due punti cardine.
Un problema?
Sicuramente, anche. Ma non solo.
Non solo un problema perché il vuoto lasciato da mesi senza frequentare fisicamente aule, docenti e compagni, da esami non sostenuti se non in un loro surrogato molto light, apre le porte anche ad un ampio spazio all’interno del quale vi è l’importante possibilità di vivere un’esperienza responsabilizzante e di crescita di grande portata per gli studenti.
Ma ad una condizione.
Che quello che dovrebbe essere un punto fermo, consolidato, per tutti, torni ad essere tale.
E mi riferisco alla visione del rapporto tra mondo scolastico ed ambito familiare come di un rapporto basato sulla complementarietà e non su di una rigida differenziazione.
La percezione infatti che, parallelamente ad un percorso evolutivo della società in senso marcatamente individualista, ci sia stata anche una visione della scuola come elemento sempre più distaccato dall’ambiente domestico, sino quasi a diventare un soggetto terzo cui subappaltare in toto il processo educativo dei nostri ragazzi in maniera completamente indipendente dall’ambito familiare, è forte.
Con in più delle aggravanti. Perché la scuola, per molti, oggi è al contempo alibi e capro espiatorio.
Alibi perché si tende a ritenere la scuola quale unico soggetto chiamato a provvedere all’educazione dei nostri figli, legittimando, in maniera più o meno consapevole, un processo deresponsabilizzante per noi genitori.
Capro espiatorio perché quanto sopra cessa di avere efficacia al primo sorgere di un qualsiasi disagio dei nostri figli, disagio di cui diventa, automaticamente, primo se non unico responsabile la scuola stessa, destinata a diventare, di conseguenza, bersaglio di attacchi ed ingerenze da parte del mondo genitoriale non di rado privi di logica se non di ritegno.
Forse l’aver in questi mesi portato forzatamente la vita scolastica dei nostri ragazzi all’interno della quotidianità familiare potrà ridare attualità a visioni e riflessioni che non avrebbero mai dovuto cessare di esserlo.
Ed il mondo scolastico in quanto tale come ha vissuto l’anomalia di questo 2020?
Ne parliamo con Davide Valentini, docente di Storia e Filosofia presso l’Istituto Superiore G. Bruno di Budrio: ciao Davide e grazie per la disponibilità.
A tuo avviso dopo l’impatto iniziale la scuola ha saputo attrezzarsi e fronteggiare il lockdown o è costantemente in affanno all’inseguimento degli eventi?
Intanto grazie per l’opportunità di parlare dell’esperienza di insegnante cominciando da chi la vive: proprio in questi giorni il Servizio Marconi (una volta noto come Progetto Marconi, vedi il sito http://serviziomarconi.istruzioneer.gov.it/ ) ha pubblicato alcuni numeri, relativi ai corsi e alle partecipazioni ai vari webinar o laboratori on-line erogati in queste settimane di emergenza Coronavirus e rivolti al corpo docenti per offrire sostegno, stimoli, aggiornamenti, corsi, idee per la cosiddetta DAD (Didattica a Distanza). Complessivamente i LabOnLine dal 3 marzo al 18 aprile hanno portato alla realizzazione di 287 incontri per un totale di 541 ore di attività e di 5.147 presenze, mentre dal 13 marzo al 17 aprile sono stati svolti 12 Webinar per un totale di 5.642 presenze registrate. Sono numeri molto importanti, e riguardano solo l’attività del Servizio Marconi, una tra le tante realtà che in Italia erogano attività di supporto alla didattica; possiamo immaginare decine di migliaia di docenti in tutta Italia impegnati per decine di migliaia di ore complessivamente, che già dal 23 febbraio hanno iniziato a lavorare per trasferire l’insegnamento sui canali della Rete, per aggiornarsi sulle App per insegnanti, per imparare a familiarizzare con la Rete, per scoprire le innumerevoli opportunità di fare scuola anche a distanza, da casa. E quindi si sono da subito attivati per elaborare strategie efficaci per i propri studenti, condividendo saperi, procedure, sperimentazioni, errori, e portando il loro impegno fin dentro le case delle famiglie italiane, costringendo i genitori a conoscere gli insegnanti più da vicino, nel loro lavoro quotidiano, e a rivedere magari alcuni cliché. Io credo che l’intero corpo docenti abbia dimostrato a tutti gli italiani la sua grande professionalità.
Ma, al di là dell’aggiornamento didattico, sono certo che i genitori hanno colto dal corpo docenti che la priorità del momento non è cosa e come si fa lezione, ma la vicinanza, l’empatia, la PRESENZA degli insegnanti vero i loro figli: la priorità della scuola è stata sin da subito il mantenere vivo il contatto, la relazione studenti-famiglia-scuola, così che nessuno si sentisse solo. Molti di noi hanno ascoltato e condiviso le paure, le sofferenze, e purtroppo anche i lutti dei loro ragazzi: nessuno potrà dire che la scuola ha abbandonato i più deboli, i più piccoli, i più giovani, in questa tragica situazione. Gli insegnanti erano, e sono ancora, lì al fianco dei loro ragazzi, ad ascoltare, a confortare, ad aiutare, a qualsiasi ora del giorno (e pure della notte, per alcuni di noi).
Quanto è stato difficile pensarti docente in totale assenza del rapporto fisico con i tuoi studenti?
Beh, io credo che l’insegnante sia un po’ come un attore di teatro, capace di emozionare il pubblico: ma cos’è un attore senza il pubblico? Un cantante senza i suoi fans ai concerti? Oppure lo sport senza i tifosi sugli spalti? La classe virtuale (o videolezione, come abbiamo imparato a dire) toglie la fisicità della relazione, l’immediatezza degli sguardi, l’espressività degli occhi, la comunicazione dei corpi, il gesticolare…toglie l’atmosfera dell’essere davanti agli studenti per loro, per il loro futuro, il loro presente, la società di domani, che fa l’essenza della didattica. In un parola toglie le emozioni: le partite a porte chiuse per lo spettatore sono orribili da guardare in tv, e sono convinto anche per i giocatori. Chi di noi vorrebbe tornare al cinema muto? La scuola virtuale, vista da questa prospettiva, è paradossalmente un salto indietro.
Ciò non significa, però, che la tecnologia sia un demone, tutt’altro: è un’infinita risorsa, incalcolabile nel suo valore didattico. Ma ripensiamo al cinema muto: io preferisco le voci, i colori, le musiche, perchè danno vita, veracità alle storie raccontate.
La cosiddetta “didattica a distanza” è stata recepita come tale dagli studenti? Ha consentito a tuo avviso di dare effettiva continuità al percorso di apprendimento dei ragazzi?
Effettivamente è una domanda complicata, è difficile dare una valutazione equilibrata: siamo nel pieno di un’emergenza prima di tutto sanitaria, e la DAD entra in una fase in cui le priorità di tutti sono altre. Certo che il “promossi tutti” non aiuterà a vedere serenamente le potenzialità: alle lezioni lo studente può staccare audio e video e farsi i fatti propri, le verifiche possono essere fatte dai genitori (succede anche questo!) o col manuale a fianco. Nella mia esperienza posso dire che i miei studenti si sono dimostrati in generale molto responsabili, forse più di quando erano in aula: almeno nella fase di apprendimento hanno mostrato serietà e impegno, volontà di approfondire… Logicamente i meno motivati, hanno trovato in questa situazione il paradiso scolastico. Ma questo approccio alla scuola non è di certo imputabile alla tecnologia. Diciamo che si è continuato, per quanto e per come possibile, di dare la migliore continuità possibile in una situazione paradossale e assolutamente inedita.
Come in tutti i contesti di difficoltà, anche il lockdown rappresenta in qualche misura un’opportunità di crescita. Credi che la struttura organizzativa del mondo della scuola saprà coglierla e capitalizzarla?
Credo proprio di sì: sono certo che la scuola, appena si tornerà alla normalità, saprà proseguire sui percorsi che in questo momento sta sperimentando, vagliando responsabilmente ciò che sarà opportuno mantenere, potenziare, o eliminare. Sempre nell’ottica del bene dei nostri figli e della nostra società di domani. Non dimentichiamoci che la scuola italiana, poi, ha vissuto sempre di sperimentazioni, di avanguardie che i vari ministri hanno poi negli anni integrato nel sistema scolastico: questa è una gigantesca sperimentazione…
Credi che la presenza della tecnologia con la sua irruzione improvvisa nella quotidianità degli studenti possa diventare una presenza destinata a diventare strutturale e strutturata?
Io mi auguro proprio di sì, MA in un sistema equilibrato di presenza in aula e lezione virtuale: dobbiamo capire qual è questo equilibrio, ma è innegabile che l’aula virtuale semplifica tante necessità della quotidianità scolastica (pensiamo banalmente ai trasporti, agli orari, ai ritardi dei mezzi pubblici, al dibattito sul sabato a scuola); come è altrettanto innegabile (e ce lo sta dicendo questa quarantena obbligata) che la scuola in aula è momento essenziale e insostituibile nell’insegnamento, nella crescita, nella formazione delle nuove generazioni. Fortunatamente vedo in prima persona gli effetti sui vari livelli di scuola: i due figli mi mettono in contatto con la primaria e la secondaria di primo grado, e come insegnante i più grandi; da quello che vedo, sono certo che gli studenti stessi, a tutti i livelli, non vorrebbero mai una sola aula virtuale, perché il sapore che offre la realtà è molto più intenso.
Se sì, dove pensi si collochi il confine tra una scuola che grazie alla maggior presenza della tecnologia aumenta il suo valore ed una scuola che a causa dell’eccesso di tecnologia rischia di diventare la controfigura di sé stessa?
Non saprei dire, credo dobbiamo tutti attendere gli studi degli esperti, che sono già cominciati proprio anche su questi temi, facendo ordine di questa mole incredibile di esperienze e di dati. Spero vivamente sia l’occasione per aggiornare la didattica riportandola in quell’atmosfera di rispetto e fiducia tra tutte le parti in gioco, cui accennavamo all’inizio: i genitori, la collettività, devono tornare a fidarsi della scuola e degli insegnanti, perché è profondamente falso, e fuorviante, continuare a dire che “lo studio non serve a niente, tanto nemmeno i laureati trovano lavoro.” Lo studio, la scuola, l’insegnante, la formazione, la cultura, sono al contrario la via alla consapevolezza, essenziali per orientarsi in un mondo così complesso e fluido.
Grazie ancora Davide per la condivisione, sempre preziosa, di tempo e riflessioni.