Viva la Resistenza, viva l’Italia.

Che Italia, però?

Verrebbe da dire tutta, indistintamente, sempre per quella storia che della libertà, così come dei diritti, ne beneficiano tutti.

Indistintamente, appunto.

Come ogni anno, come ogni 25 aprile, bisogna fare i conti con la retorica, con l’anti-retorica, ma soprattutto con quelli del “viva il 25 aprile, ma…”

Non c’è nessun ma dopo il 25 aprile, perché la connotazione storico-politica è chiara: l’Italia è libera dal fascismo, dall’oppressione, dalla guerra – purtroppo, attraverso la guerra – e si affaccia ad un futuro rigoglioso di opportunità e di sviluppo.

Democratico, aggiungo io.

Sì, perché se anche oggi, ancora oggi, dobbiamo prenderci la fatica di discutere con chi sostiene che la Liberazione è solo un punto di vista, è proprio per quel sacrificio storico di giovani di ieri per i partigiani di oggi.

Un’eredità enorme, che evolve attraverso i tempi, ma mantiene inalterata la portata storica che la rende, tutt’oggi, così importante per chi si scontra con revisionisti che sostengono tempi e politiche insostenibili.

Dire che “la guerra è brutta” è comodo, facile, vigliacco: la nostra vita è segnata quotidianamente dalle guerre, dai conflitti fra uomini, e a poco serve utilizzare i soliti trucchetti per distogliere l’attenzione dal qui e ora.

Sono tempi complicati, le certezze sono poche, ma quelle poche vanno confluite in percorsi sociali e politici tangibili: il sostegno dei più deboli, l’interesse collettivo a risolvere problemi individuali, lo sviluppo in base alle proprie possibilità, la progressività nella contribuzione, il diritto a fare ma soprattutto a non fare, la sicurezza, ecc

Non sono solo temi, ma lettere dell’alfabeto che utilizziamo per definire il nostro presente; non sono privilegi, ma i colori con cui osserviamo il mondo che ci sta attorno.

Sono – siamo – un progetto umano in costante cambiamento, che senza gli argini rischia di straripare e commettere ingiustizie.

Il 25 Aprile è uno di questi argini.

Ci ricorda quello che siamo, e come non farcelo strappare via: con la forza di chi sa adeguarsi alla modernità senza esserne cambiato, con la speranza di chi dai fascismi – vecchi e nuovi – ha scelto di starne fuori, senza stendere il tappeto rosso a macabri semplicismi, senza convincersi che tutto sia giustificato e necessario per il proprio egoistico benessere.

C’è anche chi dice che la Resistenza è una festa di parte, e lo dice in tono scocciato.

E noi ogni anno siamo qua a dire: il 25 Aprile è di tutti, la Resistenza è necessariamente di parte.

La Resistenza è dalla parte giusta della storia.

È una questione di responsabilità, del non disimpegno di fronte a tempi sempre più duri, ad interessi sempre più materiali, della de-responsabilizzazione mirata a non perdere neanche un centimetro di privilegio.

Siamo diventati così, tutti?

No, non tutti, per fortuna.

Ma anche a fronte di avvenimenti dalla portata globale, come pandemia e guerra in Ucraina – sfogliando giusto gli ultimi due anni di storia – continuiamo a dover affrontare dibattiti surreali, complottismi ridicoli, pretesa di accoglimento di argomenti e voci per il semplice fatto di essere argomenti e voci.

Come Partito, come cittadini, come esseri umani, abbiamo il dovere di schierarci a fianco di chi lavoro per mantenere i paesi uniti, i deboli all’interno del discorso, i non privilegiati in un contesto economico inclusivo.

E tutto questo è difficile, costa fatica, tempo, energia, ma non è più rimandabile.

Il tempo è ora, il giorno è oggi.

Ogni 25 aprile, ogni festa della Liberazione e della Resistenza.

Anche quando non ci saremo più noi, anche quando sarà cambiato tutto, anche quando sarà tutto prossimo alla devastazione – o alla ricostruzione? – ci sarà sempre una voce collettiva che parlerà della nostra storia, così come del nostro presente.

Partigiani moderni, e fieri di esserlo.

Lorenzo Gualandi
PD Molinella