Riflessioni sulla DAD, da chi l’ha sperimentata e a tratti subìta

“Dopo tutti questi giorni eterni ci sarà ancora qualcuno all’ascolto?” cantavano i FASK in un loro brano uscito durante il primo lockdown.

La risposta a questa domanda è molto semplice: sì. Ma non solo dopo. Anche durante questi giorni eterni c’è sempre stato qualcuno che ascoltava: a volte davanti ad uno schermo di un computer, altre invece con il cellulare attaccato all’orecchio oppure, per i più fortunati, mollemente adagiati su uno sdraio in giardino. Erano tutti gli studenti che si sono ritrovati a dover fronteggiare le già dure ore di matematica/filosofia (o qualsiasi altra materia indigeribile) dietro un monitor.

Questo non sarebbe stato un problema se poi avessero avuto modo di svagarsi e coltivare quelle relazioni che solo l’ambiente scolastico può offrire. Come tutti sappiamo però non è stato possibile anche se non sono mancate le reazioni di una generazione che fa dell’inventiva la sua arma principale.

Mi è capitato in questi mesi di girare virtualmente in molte classi di scuole superiori a Bologna per un progetto extrascolastico e con mio grande stupore ho potuto constatare che per la maggior parte degli studenti questa situazione di disagio si è trasformata in occasione. Eclatante è il caso di un ragazzo di 18 anni che ha colto la palla al balzo e si è dedicato completamente al suo progetto ecosostenibile passando più tempo tra orto, allevamento di galline e apicoltura.

Spesso facevo fare un gioco a questi liceali che si chiama “Debait” ovvero “Dibattito”. Era semplicissimo: sceglievo 3 ragazzi per squadra e davo un tema che era sempre lo stesso cioè la D.A.D. Un gruppo doveva convincere il resto della classe che la D.A.D fosse positiva mentre l’altro doveva dimostrare il contrario. Il gruppo più convincente vinceva. Ovviamente la squadra vincitrice era spesso quella contro la didattica a distanza che portava come argomentazioni quello che sentiamo ripeterci da più di un anno: non favorisce la socializzazione, non tutti hanno una connessione potente, ci si stanca a stare ore davanti ad uno schermo.

Un tema invece che toccava molto alcuni studenti ma che non sempre saltava fuori era quello della disparità economica. Essere obbligati ad accendere la telecamera e far “entrare in casa tua” i tuoi compagni metteva a disagio i ragazzi meno fortunati dal punto di vista economico che in qualche modo si sentivano giudicati. Molti preferivano non accenderla mai, neanche sotto minacce della prof che a volte puniva questa reticenza con delle note disciplinari. Per quanto riguarda le argomentazioni di chi era a favore della D.A.D devo dire che alcune mi hanno quasi convinto.

Innanzitutto, alcuni ragazzi hanno portato dati che sostenevano una sensibile diminuzione dell’inquinamento che era causato da tutti i mezzi di trasporto che portavano gli alunni a scuola.

Sempre rimanendo in tema trasporti, molti studenti hanno guadagnato qualche ora in più non dovendo fare lunghi viaggi per raggiungere il proprio polo scolastico (Anche se poi non potevano usarlo per uscire di casa). Infine, senza le videochiamate, non solo scolastiche, non sarebbero riusciti a rimanere in contatto con i loro amici. In conclusione, direi che è un pareggio paragonabile a uno di quelli che le squadre di mezza classifica fanno a fine campionato, un pareggio che non porta a nulla. Questa partita che ormai è finita senza né vincitori né vinti ci ha però insegnato il valore delle relazioni che spesso davamo per scontato. Quindi ben venga questo pareggio.

Nella speranza che non si vada mai ai supplementari

 

Per quanto riguarda invece il mondo sommerso e talvolta messo un po’ da parte, dell’università mi sono affidato a chi più di me ha sperimentato le enormi classi virtuali della nostra Alma Mater.

Pietro Gherardi

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Partiamo con una premessa: esprimere un giudizio netto sulla didattica a distanza è probabilmente impossibile. La complessità della cosa, la sua durata e le differenti esperienze personali rendono difficile dire se sia stata totalmente positiva o totalmente negativa.

 

Detto ciò, la didattica a distanza del lockdown della primavera 2020 direi che non è stata poi così male, perché era una cosa nuova, innovativa, diversa, tecnologica. E poi a quel tempo rappresentava l’unico modo per poter continuare a seguire le lezioni universitarie, a “vedere” i professori e anche i propri compagni di corso.

 

Invece la didattica a distanza dello scorso autunno e della primavera di quest’anno è stata drammaticamente più pesante. C’è stata maggiore consapevolezza (e forse anche rassegnazione) da parte degli studenti sul fatto che la Dad non fosse più uno strumento emergenziale, ma un qualcosa destinato a durare ancora a lungo. Ed è cambiato l’approccio alle lezioni online. Si è ridotta l’attenzione, è calata la voglia, sono diminuiti gli appunti presi durante le lezioni. Ore e ore passate davanti a computer e tablet: anche dal punto di vista della salute non è stato il massimo.

 

E dal punto di vista didattico, le lezioni online non sono la stessa cosa di quelle in presenza. La Dad ha sicuramente un vantaggio logistico, perché vuol dire tante ore in meno a settimana di treno, autobus, spostamenti vari (e quindi per questo meno stress e stanchezza), ma con la didattica a distanza viene meno l’interazione tra insegnante e studente, che è la cosa più importante della scuola. E si perdono anche gli stimoli didattici che derivano dall’essere fisicamente in aula insieme ai propri coetanei.

 

In definitiva, a mio parere, la didattica a distanza ha pregi e difetti, presenta aspetti positivi e aspetti negativi. È uno strumento in fin dei conti utile, ma va usato da tutti nei giusti modi.

Michele Simone